Presentazione del sito

L’attaccamento alle mie radici e l'amore per la mia terra mi hanno indotto a creare questo sito.

Molto spesso ci si rende conto dell’importanza che riveste il proprio paese d’origine solo se si è “costretti” a vivere lontano. La nostalgia dei momenti vissuti con gli amici di sempre, dei luoghi, degli odori e degli affetti è un sentimento inevitabile, che ti accompagna quotidianamente, con cui devi imparare a convivere.

Purtroppo, Guardia Lombardi non è in grado di offrire tutto ciò di cui un ragazzo ha bisogno, di opportunità per costruirsi un futuro gratificante. Questo aspetto suscita, in chi come me vive lontano, un sentimento di amore/odio verso il paese, di rabbia per non poter cambiare le cose, perché le cose dopo tanti anni non sono cambiate. I nostri nonni sono stati costretti ad andare via e la nostra generazione rivive lo stesso dramma. Noi non partiamo con la valigia di cartone e abbiamo sicuramente prospettive migliori, ma ci portiamo dietro la stessa malinconia per aver lasciato tutto ciò che, nel bene e nel male, ha fatto di noi le persone che siamo. Ci consoliamo solo con l’amara soddisfazione di essere riveriti altrove.

Ho scelto di chiamare il sito guardialombardinelmondo perché Guardia Lombardi non è solo il piccolo paese dell’Irpinia, i suoi confini si estendono a tutto il mondo, ovunque ci sia un guardiese emigrato che lo porta con se nel cuore.

Con questo sito propongo di ripopolare virtualmente Guardia Lombardi; di far rivivere storie, personaggi e luoghi del presente e del passato; di raccogliere testimonianze sull’emigrazione, sul lavoro contadino, sulla vita sociale e su qualsiasi altro aspetto che possa contribuire a mantenere viva la memoria di ciò che il paese è stato e sarà.

Chiunque condividesse lo scopo del sito può inviare il proprio contributo all’indirizzo e-mail guardialombardinelmondo@gmail.com

Come scrive Cesare Pavese, “Un paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

26 mar 2009

Cenni sul brigantaggio meridionale


Nel 1806 Gioacchino Murat abolì la feudalità nel Regno di Napoli e dispose che i demani baronali fossero assegnati agli ex feudatari (in proprietà) ed ai Comuni. Questi ultimi avrebbero dovuto dividere in quote la parte ottenuta e distribuirla ai contadini. Cosa che non accadde e che contribuì alla diffusione di un profondo malessere socio-economico.


Nel 1860 Garibaldi sconfisse il regime borbonico e unificò l'Italia sotto la bianca croce dei Savoia. Il Meridione, quindi, fu annesso agli altri Stati dominati da Casa Savoia, ma, rispetto a questi, presentava una profonda arretratezza ed un grande squilibrio sociale. La grande massa dei braccianti agricoli era ridotta alla fame. La ricchezza era, infatti, iniquamente distribuita fra un ristretto numero di latifondisti e la massa dei braccianti.

Con la proclamazione del Regno d’Italia, nel marzo del 1861, i contadini del Sud avevano sperato in una riforma agraria che prevedesse l'assegnazione di terre da coltivare. L’impresa di Garibaldi, infatti, era accompagnata da una leggenda che annunciava terra per i “cafoni” (così venivano definiti all’epoca i braccianti ed i contadini), cosa che non si verificò. Anzi, lo Stato dell'Italia unificata peggiorò ancora di più le condizioni di vita dei contadini del Sud, introducendo pesanti tasse e trascurando le problematiche economiche e sociali del Mezzogiorno.

Le pessime condizioni di vita ed una forte propaganda dei nostalgici dei borboni, volta ad incitare le masse dei disagiati a contrastare i conquistatori piemontesi, diedero vita ad un violento fenomeno di guerriglia che si diffuse prevalentemente in Campania, Basilicata ed Abruzzo, definito brigantaggio meridionale.

Il brigantaggio fu, principalmente, la ribellione dei pastori e dei braccianti senza terra defraudati dal nuovo ordine sociale, la risposta violenta al profondo disagio socio-economico vissuto negli anni dell’unità d’Italia, alle continue ingiustizie subite nel corso dei secoli ad opera dei ricchi padroni, anche se il fenomeno fu liquidato, dai piemontesi e dagli unitari, come una vera e propria manifestazione di banditismo, posta in essere da ladri, delinquenti, criminali e raziatori, istigati e diretti dai fedeli del re in esilio.


Antonio Gramsci scrisse "Lo Stato italiano (intendendo lo Stato sabaudo) è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti".


Con l’unificazione dell’Italia i contadini venivano nuovamente esclusi dal processo di trasformazione della proprietà fondiaria ed allarmati dai nuovi assetti proprietari, in cui le terre passavano dalle mani dei vecchi feudatari a quelle dei nuovi proprietari nobili e borghesi.


Carlo Dotto de Dauli nel 1877 scriveva "Il brigante è, nella maggior parte dei casi, un povero agricoltore e pastore di tempra meno fiacca e servile degli altri che si ribella alle ingiustizie e ai soprusi dei potenti e, perduta ogni fiducia nella giustizia dello Stato, si getta alla campagna e cimenta la vita, anelando vendicarsi della società che lo ridusse a quell'estremo".


Dal 1861 in poi, il brigantaggio assunse dimensioni dilaganti, obbligando lo Stato piemontese ad impiegare un consistente numero di soldati nel Sud. Si scatenò una vera e propria lotta armata tra briganti e soldati, una guerra civile che fece un'ecatombe di vittime, nelle campagne la vita scorreva in un inaudito livello di violenza.


Venivano incendiati municipi e uffici del catasto, che il brigante Crocco definiva "gli eterni nemici nostri"; saccheggiate le case dei "galantuomini" usurpatori di terre demaniali; distrutti stemmi sabaudi ed immagini del nuovo Re Vittorio Emanuele e di Garibaldi; issati gli stemmi borbonici; insediate nuove amministrazioni comunali filo borboniche.


La legge Pica del 15 agosto 1863 introdusse misure eccezionali per sopprimere il fenomeno: le zone maggiormente infestate dal brigantaggo furono assoggettate alla giurisdizione militatre e vennero effettuati rastrellamenti e fucilazioni di briganti.

L’azione dei briganti diventava sempre più violenta, riscuotendo sempre meno consenso presso la povera gente, che inizialmente si era mostrata estremamente solidale. I capibanda furono, nel giro di pochissimo tempo, tutti catturati, altri si consegnarono spontaneamente alle autorità piemontesi per ottenere uno sconto di pena.

Il brigante Crocco nella sua autobiografia scritta nel corso degli anni di carcere afferma: “la reazione fu il frutto dell’ignoranza, ciò sarà vero, anzi, verissimo, ma a promuovere le reazioni vi concorsero pure questi arrabbiati signorotti di provincia, i quali con sfacciata millanteria dicevano ‘è venuto il nostro tempo’. E i poveri oltraggiosi risposero: ‘è venuto pure il nostro tempo’”.


Questa "sciagurata e ingloriosa" guerra, come la definì Aurelio Saffi, non favorì quella giustizia sociale tanto invocata dai contadini e pagata col prezzo del sangue. Ad essi non restò che la scelta "brigante o emigrante"; ed ebbe inizio un'altra (triste) pagina della Storia del Meridione: l'emigrazione.